Bambini disabili in acqua con genitori
Terapia per bambini disabili e genitori in acqua (Foto dal sito F.A.E.E.L.)

A Parigi da più di trent’anni, presso il centro acquatico F.A.E.E.L.(Fédération des Activités Aquatiques d’Eveil et Loisir), viene praticata una metodologia di psicoterapia in acqua rivolta ai bambini disabili e ai loro caregivers.

Il modello si fonda sui processi di adattamento del bambino piccolo all’ambiente acquatico, sulle teorie delle sviluppo, sulla teoria dell’attaccamento e sul pensiero di medici e biologi che hanno evidenziato l’importanza, durante lo sviluppo, dell’attività motoria precoce in acqua.

In acqua, il bambino con disabilità, insieme ad uno dei genitori o ad entrambi, può sperimentare e costruire la propria autonomia, in un contesto che favorisce il gioco, il piacere, la libertà di movimento, il comportamento di ricerca e di esplorazione.

A differenzia di tutte le altre metodiche di intervento riabilitativo in acqua, qui il lavoro si incentra sulla relazione diadica tra il bambino e il genitore e questo fa di questa metodologia una vera e propria psicoterapia.

Si rivolge a bambini dagli 8 mesi ai 5 anni; le sedute hanno una durata che varia dai 15 a 45 minuti, con acqua alla temperatura di 32°C.

Il padre partecipa alla terapia con una frequenza minima di una seduta su quattro.

Il legame di attaccamento con un figlio disabile

Scoprire che il proprio bambino, tanto atteso e desiderato, è malato e presenta deficit che provocheranno rallentamenti nello sviluppo, fino a vere e proprie disabilità, disorienta i genitori che, non essendo preparati alla nascita di un figlio disabile, vi rispondono con senso di impotenza, autocolpevolizzazione e profondo dolore.

Reazioni che possono sfociare nel rifiuto di accettare la realtà o nell’iperprotezione, ostacolando in modo severo l’intenso e fondamentale processo di adattamento cognitivo ed emotivo al nuovo nato.

Tali inevitabili reazioni psicologiche interferiscono con la capacità di sviluppare una relazione positiva, di instaurare un forte legame di attaccamento e di creare un contesto di sviluppo adeguato alla completa espressione del potenziale insito nel bambino.

Il maternage si rivela difficoltoso e il contatto corporeo viene severamente compromesso.

Tutto ciò può frenare la motivazione del bambino a comunicare, conoscere, ed esplorare, con conseguenze molto negative sul suo sviluppo motorio, cognitivo ed emotivo.

L’ambiente acquatico favorisce l’attaccamento

Nell’ambiente acquatico, allestito in modalità ludica, la diade madre-figlio trova un contesto favorevole a risanare la frattura causata dalle condizioni del bambino e ad avviare il legame di attaccamento.

La densità e il calore dell’acqua, procurando piacere e rilassamento, favoriscono il contenimento, e in acqua sono inevitabile il contatto pelle a pelle, lo scambio di sguardi, il contatto visivo e anche la comunicazione verbale. Tutto questo favorisce e attiva nella madre l’holding.

Bowlby, definendo le dinamiche del legame di attaccamento tra il bambino e la madre, osserva che esso si instaura e si consolida grazie alla messa in atto da parte del bambino di cinque pattern comportamentali innati:

  • succhiare
  • aggrapparsi
  • seguire
  • piangere
  • sorridere

I primi tre hanno lo scopo di mantenere la madre vicina, gli altri due attivano in lei risposte di interazione e accudimento.

Lo stare in acqua insieme favorisce l’estrinsecazione di tali comportamenti e questo consente di far emergere lo stile di attaccamento che si è instaurato nella diade.

L’Io-pelle

Il contatto con la pelle, il tono muscolare, lo sguardo e la voce vanno a costituire, nell’arco del primo anno di vita, i primi elementi protomentali dello psichismo, strettamente correlati alla qualità delle cure che offre il caregiver.

Secondo Didier Anzieu, la pelle, che delimita il dentro e il fuori corporeo ed è organo di protezione, contatto e separazione, rappresenta il più primitivo dei formatori corporei dello psichismo.

Egli parla di moi-peau, l’Io-pelle, nei termini di prima forma di rappresentazione dell’Io.

La superficie del corpo è luogo e strumento di emissione di messaggi, che conducono il significato dei bisogni, e di ricezione di risposte a tali messaggi.

Pertanto, l’Io si struttura a partire dalle esperienze che derivano dalla superficie del corpo e si rappresenta come contenitore di tali vissuti.

Anzieu riconosce tre funzioni del moi-peau: sostegno, contenitività, intersensorialità. Questi processi possono essere stimolati e potenziati in ambiente acquatico.

L’Io-pelle in acqua

Lo stare in acqua consente di prendere contatto con l’impermeabilità della pelle, aiuta a delimitare i confini corporei e può favorire nel bambino disabile, con un’esperienza corporea diadica limitata, lo sviluppo dell’Io-pelle.

Nuotare stimola la sensibilità cinestesica, la sensibilità propriocettiva e il sistema vestibolare, attivando così la funzionalità del tono muscolare.

Il tono muscolare consente il dialogo corporeo tra il bambino e il caregiver, che reciprocamente si adattano alle risposte tonico-posturali attivate nel contatto fisico.

Tali adeguamenti reciproci creano nella diade un feedback corporeo che dà qualità alla relazione. Il neuropsichiatra Julian de Ajuriaguerra definisce questo feedback “dialogo tonico”.

L’acqua attiva il tono e agevola il contatto corporeo, favorendo il dialogo tonico tra la madre e il bambino, anche laddove questo presenti dei veri e propri deficit specifici della funzionalità tonica (spasticità e ipotonia).

Il dondolio, provocato dell’acqua, inoltre richiama il movimento dell’essere cullato e che assume nel bambino piccolo una funzione molto importante per l’equilibrio psichicofisico.

L’holding in acqua

Il bambino in acqua viene tenuto tra le braccia dal genitore, i loro visi si ritrovano spesso alla stessa altezza e il contatto oculare diviene più diretto e costante, mentre il tono della voce del caregiver si abbassa, favorendo l’intimità.

Winnicott evidenziò la funzione materna dell’holding, di quel contenimento che la madre esercita attraverso l’abbraccio e la tenuta, fondamentale nello sviluppo psicoaffettivo.

In particolare nell’acqua la madre sostiene, mantiene e contiene sia fisicamente che psichicamente il suo bambino, quindi, parte del lavoro si può incentrare sulla qualità delle tenute.

Il gioco e lo spazio transizionale in acqua

Secondo Winnicott, per il bambino è terapeutico qualsiasi spazio in cui sia presente un mediatore, che favorisca un contesto potenziale di gioco bloccato tra il bambino e i suoi genitori.

Lo spazio del gioco diviene così ciò che egli definisce “area transizionale”, ossia un’area intermedia esperienziale, in cui confluiscono simultaneamente la realtà interna e il mondo esterno del bambino.

Ad esempio, la piscina può divenire un setting adeguato a creare un’area transizionale di gioco tra il bambino e il caregiver, dove il malessere possa essere canalizzato verso forme più creative e divertenti.

Per Winnicott il setting terapeutico deve essere un luogo di creatività e di ricerca, dove le pulsioni creative, motorie, sensoriali abbiano la possibilità di manifestarsi attraverso le trame del gioco.

Il lavoro in piscina pertanto si rivela un contesto ideale per attivare un’area di gioco bloccato tra i genitori e i loro bambini dove, con l’aiuto del terapeuta, essi possano lavorare sui propri blocchi, le proprie angosce, le proprie difese, al fine di attivare la capacità di essere in una relazione dialogica efficace.

Le possibili regressioni del genitore in acqua con il bambino

L’acqua è un ambiente che può elicitare reazioni regressive, a maggior ragione se tale setting si colloca in una dimensione ludica. Può accadere, pertanto, che durante la seduta i genitori regrediscano a fasi di sviluppo più precoci.

Grazie alla situazione che viene a crearsi, infatti, sono portati il più delle volte ad abbandonare il ruolo di genitore e a chiedere essi stessi contenimento al terapeuta.

Quando questo fenomeno persiste e diviene di disturbo, è necessario interrompere le sedute in acqua per spostarle in un setting più convenzionale.

Le sedute in acqua possono rientrare in un progetto terapeutico più ampio.

Gli obiettivi perseguibili per i bambini disabili

Per quanto i genitori siano, in prima linea, coinvolti nel processo terapeutico, è il bambino ad essere il primo destinatario dell’intervento.

Attraverso le proposte ludiche, egli è stimolato a toccare, sentire, manipolare, esplorare, con l’aiuto dei genitori prima, con l’aiuto del materiale di sostegno dopo e infine da solo.

Uno degli obiettivi principali della terapia, infatti, è che il bambino apprenda, con il proprio ritmo e le proprie capacità, come appropriarsi dell’ambiente acquatico e a conquistare la propria autonomia.

I genitori hanno invece l’opportunità di scoprire le abilità di un figlio, fino ad allora guardato solo come un essere che presenta marcate limitazioni e dis-abilità.

In altre parole tali scoperte infondono fiducia e sicurezza, e possono contribuire a sanare la ferita narcisistica del non aver avuto il bambino “forte, sano e bello” che avevano sognato e atteso.

Come la piscina aiuta il genitore

Per i bambini disabili e i propri genitori, la piscina rappresenta un luogo piacevole e contenitivo, dove si assiste all’evoluzione della relazione, attraverso il gioco.

Ai genitori viene chiesto di giocare con i loro bambini disabili, di essere liberi di esprimersi, anche attraverso immagini mentali e associazioni, di garantire la sicurezza dei piccoli e di non assumere nei loro confronti un atteggiamento manipolativo e iperprotettivo.

L’adulto di riferimento, rappresenta, invece, per il bambino, una presenza rassicurante e questo lo spinge alla comunicazione e all’espressione di sè.

I destinatari della psicoterapia in acqua

Ogni tipo di disabilità può essere trattato attraverso questo metodo, che si modella in rapporto alle singole problematiche di ciascun bambino.

In particolare, esso si rivela efficace per bambini con problemi di:

  • comunicazione
  • di contatto
  • di ritardo grave del linguaggio
  • disturbi alimentari
  • disturbi comportamentali
  • tratti psicotici
  • autismo

Fonti

Anzieu D. L’epidermide nomade e la pelle psichica. Raffaello Cortina Editore, 1992

Baldini L. Vissuto di malattia e relazioni nella famiglia del bambino con disturbo di sviluppo. In  Baldini L.(a cura di): Psicologia evolutiva e disturbi dello sviluppo nell’infanzia. Il Pensiero Scientifico Editore, 1995

Pansu C. L’integrazione dei bambini disabili nelle sedute di adattamento e di familiarizzazione all’ambiente acquatico, Aquatica ( rivista FAEL), ottobre 1996

Pansu C. L’eau et l’enfant, un espace de libertè. Ed Anphora, Parigi 1997

Luigi-Duggan A. Psicoterapia bambino-genitore in piscina. Una pratica innovativa. Atto delle giornate di studi nazionali sull’acqua, FAEL (Federation des Activités Aquatiques d’Eveil et de Loisir) e Association Départementale des PEP 2B PEP Formation & CAMSP de Bastia, 18-21 maggio, 1996 Bastia

Potel C. Educazione e apprendimento in acqua. Quali effetti su bambino psicotico non deficitario. Atto delle giornate di studi nazionali sull’acqua, FAEL (Federation des Activités Aquatiques d’Eveil et de Loisir) e Association Départementale des PEP 2B PEP Formation & CAMSP de Bastia, 18-21 maggio 1996, Bastia

Douet B. L’acqua e il bambino sordo, autistico e psicotico. La problematica del tatto nel lavoro in piscina. Atto delle giornate di studi nazionali sull’acqua; FAEL   (Federation des Activités Aquatiques d’Eveil et de Loisir) e Association Départementale des PEP 2B PEP Formation & CAMSP de Bastia, 18-21 maggio 1996, Bastia

Winnicott D. Gioco e Realtà. Armando Editore, 1974 Bowlby J. L’attaccamento alla madre. Ed. Boringhieri, 1972