L’aggressività viene, di solito, considerata un comportamento violento intenzionale, volto a procurare sofferenza ad un altro individuo e a creare conflittualità.

Opera d'arte: drago in metallo che sembra aggredire i passanti in un parco pubblico
L’aggressività non è poi così cattiva – Psicoterapia bari

Frits Perls, ideatore della psicoterapia della Gestalt, offre un’altra chiave di lettura del significato dell’aggressività, collocandola nel regno delle funzioni vitali dell’organismo.

Nella sua opera “L’Io, la fame, l’aggressività”, egli pone l’accento sull’etimologia della parola aggressività, che deriva dal latino “ad gradior” che vuol dire “andare verso”.

Il termine aggressività implica, dunque, il senso del movimento in avanti, in direzione di uno scopo da raggiungere.

Questa accezione permette di dare a questo comportamento una nuova collocazione psichica, secondo cui noi siamo aggressivi ogni qualvolta compiamo un movimento per raggiungere un obiettivo strettamente collegato ad un bisogno.

Metabolismo mentale

Ogni esperienza, che l’essere umano vive attraverso il suo incessante interscambio con l’ambiente, contribuisce alla sua crescita psichica, al pari del cibo, la cui assimilazione garantisce il mantenimento e la crescita del corpo.

Per Perls, l’esperienza è cibo psichico attinto dalle relazioni e dai diversi contesti di vita, difatti a tal proposito egli parla di “metabolismo mentale”.

Il cibo esperienziale è buono e nutriente quando è composto di amore, comprensione, contenimento, accettazione, riconoscimento, calore.

Al contrario, esso è nocivo e velenoso quando è costituito da frustrazione, mancanza, attacchi, manipolazioni, giudizi negativi, pregiudizi, violenza.

I bisogni e l’aggressività

Così come il cibo risponde ai bisogni metabolici dell’organismo, allo stesso modo, le esperienze rispondono ai bisogni psichici.

Ogni individuo è incessantemente attraversato da svariati bisogni, la cui soddisfazione implica che egli si mobiliti per andare a prendere fuori da sè ciò che è indispensabile a tale scopo.

Se avrà sete dovrà andare verso la bottiglia dell’acqua, se avrà bisogno di essere ascoltato, dovrà andare verso l’amico, che saprà rispondere a questa necessità.

L’andare verso il soddisfacimento dei propri bisogni è esattamente ciò che Perls intende per aggressività.

Allo stesso tempo, egli considera aggressivi anche tutti i comportamenti volti al rifiuto dell’esperienza nociva e al distanziamento da essa, ai fini della protezione e della salvaguardia di sé.

Il morso nel bambino piccolo

Per Perls, la funzione dell’aggressività si sviluppa nel bambino con la comparsa del morso, grazie all’azione dei denti frontali che, coinvolgendo la muscolatura della mandibola, possono attaccare il cibo solido e distruggerlo per prepararlo alla digestione e all’assimilazione.

Il bambino con il morso può scegliere se assimilare il cibo, e quindi distruggerlo, oppure espellerlo per intero, quando non gli piace.

Dal momento in cui il bambino diviene capace di mordere acquisisce, dunque, la capacità di scegliere e di decidere se prendere oppure no ciò che l’ambiente gli offre.

Dal cibo, il bambino estende il campo di sperimentazione dell’uso dei denti agli oggetti, al capezzolo e ad altre parti del corpo della madre.

Questa, non comprendendo la natura biologica del morso, può sentirsi minacciata da tale atto aggressivo e reagire con agitazione, repulsione e rimprovero.

In tal modo, lei trasmette al bambino il messaggio che, quando morde, ferisce e, così, lo induce ad inibire tale naturale attitudine, e ciò determinerà un uso insufficiente dei denti frontali per esperire il mondo.

La funzione vitale dell’energia distruttiva

Inibendo la funzione del morso, il bambino impara a ingoiare pezzi solidi, che restano difficilmente digeribili. L’effetto che questo avrà sul suo metabolismo mentale è che, egli avrà difficoltà a selezionare le esperienze da vivere poiché avrà inibito l’energia distruttiva.

Tale energia non può però scomparire dall’organismo, perchè è espressione della forza vitale stessa ed è anch’essa indispensabile agli equilibri vitali del sistema Uomo, ma confluisce in vie più dannose, che si esprimono con la violenza rivolta all’esterno o rivolta verso il sè.

Secondo Perls, la violenza e le guerre dilaganti nel mondo hanno all’origine una forte repressione della funzione sana dell’aggressività.

Rabbia e aggressività

L’aggressività è una funzione biologica dell’istinto della fame.

Quando la tensione della fame diviene alta, l’organismo si attiva ed esprime irritabilità, nervosismo fino alla rabbia manifesta, se il bisogno non viene soddisfatto. Con il cibo, la rabbia e la fame si placano.

La rabbia è un’emozione primaria che si attiva quando un ostacolo si frappone al raggiungimento di un proprio obiettivo.

L’aggressività è, invece, l’insieme dei comportamenti messi in atto per rimuovere l’ostacolo, che consistono “nell’andare verso”.

La rabbia non è un’emozione negativa di per sé, anzi è una preziosissima spinta vitale all’azione, alla conquista, al raggiungimento del nutrimento, di quel cibo esperienziale la cui assimilazione porta alla crescita della personalità.

Bisogni e rabbia

La rabbia non determina necessariamente comportamenti violenti, bensì diviene “pericolosa” quando viene inibita e repressa.

Non tutti i bisogni che si originano in noi trovano soddisfazione, piuttosto molti di essi vengono inibiti e restano inascoltati e questo può avvenire a causa di svariati motivi:

  • l’ambiente non presenta le condizioni per rispondervi
  • il soddisfacimento implicherebbe l’entrare in conflitto con l’altro
  • l’espressione di tale bisogno non è conforme ad un’immagine accettabile di se stessi o non corrisponde alle aspettative del contesto.

In queste condizioni avverse, il bisogno è sì frenato e negato, ma non scompare, diviene solo inconsapevole, con l’esito che la frustrazione che ne deriva è invertita in ostilità rivolta verso di sé o in improvvisi, incontrollabili e apparentemente immotivati eccessi di ira, rivolti verso il primo malcapitato.

Il bisogno inibito diviene pericoloso per sé stessi. La rimozione è, dunque, un atto di aggressione volto contro di sé.

Quando, invece, un bisogno represso viene poi accettato ed espresso, si può scoprire che l’intensità distruttiva percepita o supposta è in realtà molto più bassa di quanto si potesse temere.

Inibire un bisogno spesso implica l’inibizione di aspetti vitali di sé come la capacità di sentire la vita, la créatività e la fiducia in se stessi.

La funzione di de-strutturazione dell’aggressività

La funzione dell’aggressività, su cui Perls aiuta a porre maggiore attenzione, è quella della “distruzione”, intesa in termini di de-strutturazione, che è funzione indispensabile della crescita.

Ogni organismo per poter crescere deve incorporare, quindi digerire e assimilare, materiale nuovo dall’ambiente in cui vive.

Affinché questo avvenga è necessaria la distruzione della forma esistente nei suoi elementi assimilabili, sia che si tratti di cibo, di un libro, di un incontro, dell’influenza genitoriale, della differenza di caratteristiche e di abitudini tra sé e il partner.

In questo modo, ciò che di nuovo arriva dall’esterno viene integrato con il noto e assimilato.

Esattamente come avviene quando il cibo de-strutturato e assimilato viene metabolizzato, mantenendo attiva la crescita dell’organismo.

Per crescere è necessario il cambiamento e questo implica la de-strutturazione del noto per la creazione del nuovo.

Le conseguenze dell’inibizione dell’aggressività

Secondo Perls tutte le situazioni in sospeso, i problemi non risolti, i rancori, le rimostranze non agite rappresentano vissuti non digeriti, che portiamo con noi dal passato.

Nel tempo questi problemi non risolti assumono la forma di malignità, borbottamenti, lamenti, tormenti, irritabilità, ostilità fino a vere e proprie forme di autoaggressione e autolesionismo.

Quando l’aggressività cambia la sua rotta biologica e viene rivolta verso di sé, si perde fiducia in se stessi, ci si indebolisce e si diviene preda della propria insicurezza.

La mancanza di aggressività negli affetti e nella relazione di coppia

Se si è arrabbiati con qualcuno a cui si vuole bene, può accadere che il senso di colpa inibisca l’atto aggressivo, poiché non ci si può permettere di “aggredire” la persona di cui si ha bisogno, anche se questa è, al contempo, fonte di frustrazione.

L’inibizione dell’aggressività nelle relazioni affettive dà luogo all’impotenza e alla rabbia rivolta verso di sé e la relazione perde vitalità, si impoverisce e smette di crescere.

Senza l’aggressività l’amore si intorpidisce e diventa privo di contatto, poiché l’atto di distruggere, cioè di destrutturare, è veicolo di rinnovamento per la coppia.

L’inibizione dentale del bambino

Tornando alla fase di vita in cui il bambino apprende l’uso del morso, Perls ritiene che, quando i denti iniziano a crescere e il capezzolo della madre si sottrae al morso senza che sia sostituito da cibo solido, può insorgere in lui un conflitto: da un lato sta imparando che il cibo si morde e si mastica con forza e dall’altro impara a frenare il morso.

Tale conflitto sfocia nell’inibizione dentale.

L’uso del ciucciotto consente al bambino di trovare una mediazione in questo conflitto, in quanto, trattandosi di un oggetto “indistruttibile”, egli può morderlo ad oltranza senza conseguenze.

Tale oggetto, però, non fornisce nutrimento e non produce in lui alcun cambiamento.

La tendenza ad aggrapparsi e l’attitudine al succhiotto

L’inibizione dentale precoce porta allo sviluppo di due distinti aspetti del carattere:

  • la “tendenza ad aggrapparsi” ad una persona o a una cosa, nella speranza che questo basti a soddisfare i propri bisogni, lasciando inattivo un surplus di aggressività non agita e repressa;
  • “l’attitudine al succhiotto”, cioè la scelta di relazioni con persone che consentono di scambiare solo una dose minima di aggressività ma che, proprio in virtù di questo, non contribuiscono al cambiamento e alla crescita della personalità, né tantomeno all’evoluzione della relazione.

La mancanza di cambiamento, cioè la non attivazione dell’aggressività al servizio dell’olismo organismico, impedisce l’integrazione della personalità e ostacola un sviluppo sano del suo potenziale.

Con il recupero di un’aggressività sana ed efficace, che consenta di destrutturare gli ostacoli alla crescita e all’affermazione della totalità dell’individuo, può aver luogo la re-integrazione armonica della personalità e l’individuo può muoversi con grazia ed equilibrio lungo il suo percorso evolutivo.

Fonti

Fritz Perls: “L’Io, la fame e l’aggressività”. Franco Angeli, 2007

F. Perls, R.F. Hefferline e P. Goodman: “Teoria e pratica della terapia della Gestalt”  Astrolabio, 1997