Foto di bilancia con pesi
Paura e senso di sicurezza: i due piatti di una bilancia bio-emozionale

La sopravvivenza è lo scopo primario del vivere, a cui rispondiamo perlopiù inconsciamente, ed è strettamente legata al senso di sicurezza.

Quando si è e si cresce in un ambiente fisico, relazionale e affettivo che garantisce di poter sopravvivere si può esistere, nel senso che si può fare esperienza della vita lungo un continuum dove l’energia vitale è spesa per lo sviluppo armonico delle capacità potenziali e dell’espressione di sé.

L’equilibrio interiore

Sentirsi al sicuro significa percepire una sensazione interiore di equilibrio fatta di calma e di rilassamento. Uno stato che ha dei correlati somatici: ritmo respiratorio e ritmo cardiaco regolari, tono muscolare né troppo teso né troppo flaccido, espressione del viso rilassata, sudorazione contenuta, intestino ben funzionante, sistema immunitario efficace e responsivo. In questo stato l’organismo può dirsi regolato.

L’equilibrio interno, però, è per sua natura transitorio poiché l’infinità di sollecitazioni che provengono dal contesto di vita e degli eventi che in esso si dipanano provocano nell’organismo una serie di reazioni che lo perturbano, perturbano il suo equilibrio.

Il disequilibrio necessita di essere regolato e a questo risponde il cervello programmando e determinando opportuni comportamenti di risposta alle sollecitazioni ricevute.

Il disequilibrio omeostatico è caratterizzato dalla modificazione dei parametri biologici dei tempi di quiete: cambia il ritmo respiratorio, quello cardiaco, la pressione sanguigna, le aree del corpo in cui affluisce maggiormente il sangue, la temperatura interna, gli ormoni in circolo, il tono muscolare, le espressioni del viso e così via.

Gli stimoli esterni

Lo stimolo esterno o stressor che può provocare il maggior disequilibrio interno è la comparsa del pericolo, la minaccia di poter subire un danno o che lo possano subire i propri cari e che mette a repentaglio la propria incolumità fisica o psicologica, quindi la sicurezza.

Gli stimoli capaci di spaventarci sono potenzialmente infiniti, ma più il pericolo si approssima alla minaccia alla sopravvivenza e più alto è il livello di disequilibrio somatopsichico attivato, che pone l’organismo in uno stato di stress elevato.

Paura: la risposta al pericolo

L’emozione primaria di risposta al pericolo è la paura, che provoca un’elevata alterazione interna, la cui entità è in rapporto all’intensità dell’emozione provata.

La paura ha come precursore lo “stato di allerta” e, a seconda della gravità del pericolo, può sfociare nel panico, nel terrore e, se associata al disgusto, nell’orrore.

Per comprendere meglio la gradazione dell’intensità della paura immagina di essere a casa in un momento di relax, stai leggendo un libro, circondato da cose familiari e rassicuranti.

Sei assorto nella lettura ma all’improvviso senti un forte e insolito rumore a cui rispondi con un’immediata tensione corporea, trattieni qualche istante il fiato, ti immobilizzi e smetti di leggere.

Questa è una risposta di  “trasalimento-arresto” a cui si associa una “risposta di orientamento”, che consiste nell’acuire la vista e l’udito verso la fonte della minaccia.

Immobilizzazione, attacco o fuga

La risposta di orientamento è un programma di esplorazione mirato, in questo caso, al riconoscimento del pericolo e di preparazione all’eventuale difesa da esso con l’attacco o con la fuga, che sono le prime due strategie di risposta automatica e adattiva alla paura.

L’immobilizzazione è un comportamento che ereditiamo dalla memoria filogenetica perchè i nostri antenati si fingevano morti per non essere catturati e per prepararsi alla fuga o alla lotta difensiva.

Se lo stimolo non viene riconosciuto come inoffensivo ma non gli è stata ancora data una sembianza di pericolo, la risposta di orientamento sfocia nello “stato di allerta”, che è più attivante, infatti a questo punto lasci il libro, ti alzi dalla poltrona e, in uno stato di agitazione e tensione corporea, ti dirigi verso la fonte sonora.

Quando il pericolo viene riconosciuto come reale, per esempio scopri di avere un ladro in casa, allora scatta la paura vera e propria e in una modalità quanto più veloce possibile il tuo cervello elabora la strategia più efficace da attivare in quel momento, per cui scegli di aggredirlo oppure di fuggire via di casa per cercare aiuto.

Se è, invece, il ladro ad aggredirti e tu non hai alcuna possibilità di sfuggirgli, la tua paura diventa panico e poi terrore e puoi anche arrivare a svenire e a collassare. Il collasso è l’ultima strategia che il sistema nervoso attiva per gestire il pericolo.

Se raggiungendo la fonte sonora ti accorgi che si è trattato di una finestra che è stata sbattuta da un’improvvisa folata di vento, allora scopri che non v’era alcun pericolo reale e che eri troppo rapito dalla lettura per accorgerti dal cambiamento repentino delle condizioni meteorologiche.

Il ripristino dell’equilibrio

A questo punto, fai un bel sospiro di sollievo, ti siedi e il cuore continua a battere all’impazzata, il respiro è ancora affannoso e senti ancora il corpo tutto teso. Perché il corpo non risponde nell’immediato alla cognizione dell’assenza di pericolo?

Perchè le emozioni hanno un periodo refrattario in cui si mantengono coerenti nell’espressione anche quando lo stimolo attivante è scomparso dal campo e questo avviene perchè le risposte biologiche, che da esse vengono attivate, hanno bisogno di tempo per riorganizzarsi verso il ritorno a un stato regolato.

Bevi un bicchier d’acqua, fai respiri più profondi, magari ti assale una bella risata che favorisce la distensione dei muscoli e lentamente ti calmi.

Il tuo organismo si avvia verso il ripristino dell’equilibrio, che ti riporta in uno stato di rilassamento tale da permetterti di ritornare serenamente sulla tua amata poltrona.

Cosa accade quando un pericolo persiste nel tempo?

Si possono verificare svariate situazioni che possono rappresentare un pericolo persistente, per esempio la prospettiva del licenziamento, difficoltà economiche che non consentono di far fronte agli impegni presi, un vicino iracondo e minaccioso, il rischio di venire contagiati da un virus circolante come il SARS-CoV-2 e via dicendo.

In situazioni simili l’organismo non può completare il processo della paura con comportamenti risolutivi, per cui l’energia rimane attiva e sfocia nell’ansia libera.

Si può anche verificare che si attivino meccanismi inibitori che spengono l’emozione della paura e l’attivazione energetica correlata, e la paura repressa diviene angoscia o abulia, mentre il corpo risponde ai processi inibitori con sudorazione, tachicardia, vasocostrizione e aumento della pressione sanguigna fino a nausea, vomito e vertigini. Tutti possibili precursori di patologia psicosomatica.

Il ricordo del pericolo rimane, come una spia sempre accesa

Ai fini dell’autoconservazione quindi della sopravvivenza, il ricordo del pericolo rimane memorizzato in modo permanente e a livello cerebrale tale traccia mnestica viene mantenuta attiva da una scarica d’intensità a frequenze basse ma costanti, come se ci fosse una spia sempre accesa che prepara all’evenienza di dover nuovamente affrontare la stessa minaccia.

Le conseguenze della paura persistente

Un’altra strategia per gestire la paura è l’evitamento di persone o situazioni o contesti legati all’episodio di pericolo.  

Charles Darwin riteneva che una fuga prolungata o un comportamento di evitamento ostacolano l’animale nei processi di riproduzione, mentre tutto il processo procreativo dipende dall’accoppiamento, dall’accudimento, dalla protezione, comportamenti opposti all’evitamento e alla fuga.

La procreazione è un’atto creativo che sottrae energie al sistema di salvaguardia della sopravvivenza, quindi per poter creare, in senso lato, dobbiamo sentirci al sicuro.

Seppur talune situazioni siano da evitare perché nocive al proprio benessere, il porsi in una posizione rigida di fuga può limitare la possibilità di mettersi in gioco, di accedere alle proprie risorse per fronteggiare quella situazione in modo diverso e più efficace e di acquisire nuove abilità adattive necessarie a proseguire il proprio percorso di crescita.

Strategie alternative alla fuga

Altre strategie più passive sono la sottomissione, il fingere di essere morti e lo svenimento. Comportamenti, adottati anche dai primati, che possono rivelarsi disfunzionali rispetto ad una gestione sana e adattiva di paure riguardanti le relazioni sociali.

Quando la risposta della paura si cristallizza nell’immobilizzazione, questa è accompagnata da un blocco delle espressioni facciali fino all’alessitimia ossia l’incapacità di sentire, riconoscere ed esprimere le emozioni.

In presenza di una minaccia costante si può anche reagire con lo “stato di freezing“, che è simile all’immobilizzazione ma si colloca su una linea di confine tra una reazione vegetativa di attivazione con frequenza cardiaca sostenuta, muscoli rigidi e tesi e acutezza sensoriale e il blocco vigile, caratterizzato da completa cessazione della mobilità corporea a eccezione della respirazione e dei movimenti oculari.

È uno stato di congelamento vigile, in cui si prova forte paura mentre le sensazioni corporee si percepiscono molto di meno o scompaiono dal nostro sentire per azione del meccanismo di difesa della dissociazione, che impedisce a quell’emozione di fare troppo male.

La paura e il contatto con se stessi

Secondo il neuroscienziato Antonio Damasio noi abbiamo dei sentimenti di fondo che si attivano quando non siamo attraversati da alcuna emozione e derivano dagli stati corporei di fondo, che ci donano il sentimento della vita e il senso dell’esistere.

Sebbene ne possiamo avere solo una sottile consapevolezza, questa è sufficiente a riconoscere istantaneamente se si tratta di uno stato piacevole o spiacevole, se proviamo benessere o malessere.

Questi sentimenti ci permettono un pieno contatto con il proprio sentire interno, di orientarci rispetto a noi stessi nel flusso della nostra esistenza e ci aiutano a direzionare le scelte sulla qualità della propria vita.

Quando le emozioni prendono il sopravvento

Quando sentiamo un’emozione vuol dire che questo stato ha preso il sopravvento sul sentimento di fondo, per cui il rischio di vivere uno stato di minaccia persistente è la perdita del contatto con se stessi e con il proprio orientamento esistenziale poiché la paura sequestra la percezione e la focalizza sull’attenzione l’esterno.

Lo stato di sicurezza, invece, favorisce il contatto con se stessi, con i propri sentimenti di fondo e ci predispone alla relazione.

Il potere della relazione

Siamo costituiti di un sistema psichico sofisticato, dotato di un substrato neurologico complesso, che ci destina al coinvolgimento sociale mediato dalle espressioni facciali, dal linguaggio verbale, dal tono della voce e dall’ascolto.

L’interazione con una persona empatica fisicamente vicina, dallo sguardo accogliente e il volto rassicurante, che si sintonizza con il proprio stato di allerta e di minaccia ci fa sentire di essere visti, riconosciuti e che non si è soli.

La presenza di una persona che ci è di aiuto modifica considerevolmente la propria condizione disregolata nella direzione del senso di sicurezza in assenza di pericolo.

È innanzitutto una modificazione di natura viscerale ad opera del ramo ventrale del nervo vago che determina la decelerazione del ritmo cardiaco accompagnata da un respiro che si fa più profondo.

La paura e gli effetti benefici della relazione

La relazione ha un potere calmante talmente elevato da poter affermare che la ricerca di sostegno sociale e di solidarietà e la richiesta di aiuto, per fronteggiare il pericolo, rappresentano le strategie più evolute di risposta alla paura.

Come afferma la psichiatra Erica Poli: “un individuo in interazione sociale può stabilizzare la propria condizione neurofisiologica, poiché quando l’ambiente viene percepito come sicuro le risposte di difesa vengono inibite e la condizione di sicurezza che deriva dalla relazione si riflette nelle sensazioni viscerali.

Esiste dunque un codice neurale dell’amore basato sulla reciprocità e sulla sintonia percepite che frena le risposte istintive alla paura”.

La sicurezza è, dunque, strettamente connessa a un “senso di noi” condiviso, ad una viva sensazione di fiducia.

Conclusioni

La paura è l’emozione che maggiormente contribuisce allo scopo primario del vivere ossia salvaguardare la sopravvivenza e lo fa attivando in noi un’ampia gamma di strategie per difenderci dai pericoli e dalle minacce.

La paura è un’emozione indispensabile alla tutela della propria vita e lo è stata anche per la conservazione della specie.

Paura e perdita del contatto

Mentre il sistema neuropsichico è ingaggiato nella difesa dai pericoli si corre, però, il rischio di perdere il contatto con se stessi e con il proprio fluire nell’esistenza, che il senso di sicurezza garantisce.

Ancor peggio, quando le energie di un individuo sono sequestrate dalla necessità di combattere nemici invisibili, frutto di memorie traumatiche (leggi a riguardo l’articolo sull’ansia), la sua crescita viene frenata o bloccata dal bisogno di garantirsi la sopravvivenza e questo sottrae spazio alla creativitità, al nutrimento, alla cura di sé e delle persone care e quindi all’amore.

L’altissimo rischio che si corre nel vivere una condizione di perenne allerta, che prepara alla difesa da eventuali nemici, non è solo rappresentato dalla perdita della possibilità di vivere appieno una relazione intima, ma anche di sognare, di pianificare il futuro, di giocare, di apprendere e di autorealizzarsi.

Meglio Esistere, che sopravvivere

Ed è così che vediamo come nel vivere ci muoviamo tra i due poli opposti del sopravvivere e dell’esistere, il primo guidato dall’istintualità mirata alla soddisfazione dei bisogni vitali e l’altro teso alla massima espressione della propria essenza mediante il riconoscimento del senso del proprio essere nel mondo.

Fonti

  • Antonio R. Damasio “L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano”, ed. Adelphi, 1995
  • Laurence Heller, Aline LaPierre “Guarire i traumi dell’età evolutiva”, ed. Astrolabio – Ubaldini, 2018
  • Diego Ingrassia “Il cuore nella mente. L’analisi emotivo comportamentale: consapevolezza emotiva e relazioni umane”, Roi Edizioni, 2018
  • Erica Francesca Poli “Le Emozioni che Curano. Stare bene con la nuova medicina delle emozioni” edizioni Mondadori, 2019
  • Vezio Ruggeri “Semeiotica di processi psicofisiologici e psicosomatici”, Il pensiero Scientifico Editore, 1987
  • Bessel Van der Kolk “Il corpo accusa il colpo”, Raffaello Cortina Editore, 2017