L’omosessualità è un fenomeno diffuso e ampiamente conosciuto, che non ha ancora ricevuto un pieno e legittimo diritto di riconoscimento nel tessuto sociale, in quanto non viene considerato un “fenomeno naturale”.

Due donne a una manifestazione sull'omosessualità e i diritti Lgbt
Manifestazione per il riconoscimento dei diritti Lgbt (Photo by Mercedes Mehling on Unsplash)

Userò il termine omosessualità includendovi tutti gli orientamenti sessuali LGBTQ+ che si differenziano dall’eterosessualità: attrazione tra due uomini, lesbismo, bisessualità e transessualismo.

La scoperta dell’omosessualità come fenomeno naturale

L’omosessualità è un fenomeno che si scopre nel proprio modo di sentire l’amore o in chi lo manifesta.

Per ragioni di natura socio-culturale, l’impatto non è sempre facile, soprattutto in chi non la vive in prima persona.

Ho scoperto dell’esistenza dell’omosessualità all’età di circa undici anni, quando un caro amico d’infanzia più grande di me ha rivelato la sua omosessualità alla famiglia, portandovi lo scompiglio.

Io percepivo che stava accadendo qualcosa che creava tensione e destava preoccupazione, qualcosa di grave che a me non poteva essere rivelata.

Finché un bel giorno fu lui stesso a dirmi:”Sto passando un momento molto difficile perché mi sono innamorato di un ragazzo. Ma non è questo il problema, quanto che questo ha provocato molta sofferenza nella mia famiglia, che si rifiuta di accettare. Sai io sono omosessuale, guarda che non c’è niente di male, per me è una cosa naturale”.

Non avevo mai sentito la parola omosessuale prima di allora, così scoprivo qualcosa di nuovo che mi lasciava un po’ confusa e con molti punti interrogativi. Ma mi fidavo del mio amico, se questo stava accadendo alla sua vita per me aveva senso.

Durante gli anni dell’adolescenza, un’amica mi raccontò dei suoi innamoramenti e delle sue relazioni con altre ragazze, è scoprivo che l’omosessualità poteva riguardare anche persone del mio stesso sesso.

A me così divenne chiaro che l’amore andava oltre i confini del genere sessuale e che, comunque fosse, si trattava di un fenomeno naturale.

Diversi anni fa a Chennai, nel sud dell’India, ebbi occasione di conoscere un gruppo di ragazzi gay molto simpatici, membri di una fondazione che si occupava dei diritti di minoranze come omosessuali e figli di prostitute.

In un’altra occasione, a Tirana, in compagnia di due amici gay italiani, partecipai ad una cena a cui erano presenti quattro uomini gay del posto, che dopo furono costretti a scappare via per tornare a casa da mogli e figli. Questi due episodi hanno rinforzato in me l’idea che l’omosessualità sia indipendente da variabili socio-culturali.

Dai diversi racconti di amici e pazienti raccolti finora rilevo che, nella maggior parte dei casi, la scoperta della propria omosessualità sia stata vissuta con naturalezza, perché contraddistinta da un sentimento di amore vissuto con purezza e pienezza.

Il ruolo di genere nella società

Lo psicanalista Carl Gustav Jung riconosce nella psiche una dimensione femminile, che chiama Anima, e una dimensione maschile, l’Animus, entrambe coesistenti in ogni individuo ma con differente dominanza, a seconda del genere sessuale di appartenenza.

Egli parla di “androginia psichica”, nel senso che la psiche lungo la sua evoluzione, ai fini dell’integrazione, tende allo sviluppo dell’aspetto latente, La psiche è orientata, dunque, all’androginia. Ciò induce a considerare la possibilità che l’eterosessuale abbia un’omosessualità latente e viceversa.

Man mano che l’essere umano cresce nella società, si identifica in un numero sempre maggiore di ruoli, che vengono riconosciuti in modo convenzionale dal contesto socio-culturale: il figlio, la sorella, l’alunno, l’amica, lo studente, la sportiva, il laureato, la commessa, il genitore, la zia etc.

L’unico ruolo che la società affida ancor prima della nascita è il genere sessuale. Conoscere il sesso del feto è diventata ormai una prassi, poiché l’ambiente si deve predisporre ad accogliere il nascituro o in rosa o in azzurro, e guai a regalare una tutina rosa a un maschietto!

Dopo il primo anno e mezzo di vita i giochi iniziano a differenziarsi a seconda del sesso, i bambini ricevono continui messaggi sulle differenze tra il maschile e il femminile e su ciò che è consono o non lo è al proprio genere sessuale. Al contempo,  osservano i rispettivi corpi e scoprono le differenze genitali finchè, giunto all’età di tre anni, un bambino sa dire se è femminuccia o maschietto.

L’identità di genere

Questa fase evolutiva rappresenta il primo step di un processo che si dipana lungo tutto l’arco dello sviluppo.

Può, infatti, accadere a bambini in età scolare o adolescenti di provare attrazione fisica e trasporto sentimentale verso coetanei dello stesso sesso, e di scoprire la propria innata omosessualità.

Una scoperta che contiene una marcata dissonanza con ciò che, fino ad allora, il contesto di vita aveva trasmesso loro, ossia che i maschi si innamorano delle femmine e le femmine dei maschi.

Lo scontro in famiglia

Pur vivendo questo sentimento con naturalezza, i veri problemi sorgono nel rivelare la propria scoperta agli altri, nel rendere manifesta la propria natura all’interno del proprio contesto di vita.

La società sembra non essere ancora pronta ad accogliere tale naturalità e spesso per la famiglia rappresenta un vero e proprio dramma, che si tramuta facilmente in diniego. Cosi come, soprattutto nelle fasi iniziali, la persona tende a nascondere la sua natura e a vivere il suo modo di amare con profondo disagio, finchè non riesce a “liberarsi” dalla gabbia degli stereotipi sociali, affermando appieno e con orgoglio la propria identità di genere.

La vergogna e il senso di appartenenza

Se guardiamo al fenomeno dell’omosessualità dal punto di vista psicosociale, si può affermare che entrano in gioco due emozioni difficilmente gestibili: la vergogna e la paura.

Le emozioni sono dei programmi di risposta dell’organismo a ciò che accade nell’ambiente, preposti ad attivare in modo automatico un immediato comportamento appropriato alla situazione. Gli schemi di risposta neurovegetativa e i comportamenti attivati sono trasmessi geneticamente. Ciò significa che, sono patrimonio della specie e che la loro genesi si rintraccia in esperienze altamente significative relative alla sopravvivenza delle specie stessa.

La vergogna è un emozione che attiva l’istinto a nascondersi.

Il programma della vergogna nacque quando l’uomo divenne un essere gregario e iniziò a vivere in clan o in piccole comunità, in quanto l’unione favoriva il raggiungimento di due obiettivi indispensabili alla sopravvivenza: procacciarsi il cibo e difendersi dal nemico.

Ciò che garantisce il mantenimento di un gruppo è il “senso di appartenenza” condiviso, che ha luogo quando ogni membro si riconosce simile agli altri, e questo riconoscimento reciproco crea l’identificazione nel gruppo.

Il senso di appartenenza è rassicurante e crea coesione. Maggiore è la coesione del gruppo e più questo è in grado di raggiungere gli obiettivi che ne hanno determinato la formazione.

La presenza del diverso, con cui non era possibile identificarsi, indeboliva e minacciava la coesione, mettendo a repentaglio la sopravvivenza del gruppo. Il diverso, pertanto, veniva espulso.

Questo accade anche nei branchi, dove l’animale più debole viene ucciso.

La vergogna ha nella sua genesi la paura di essere espulso dal gruppo di appartenenza, a causa della propria diversità, e quindi è un programma atavico che attiva il comportamento del nascondersi.

Quando si è assaliti dalla vergogna, diventa impellente il bisogno di non rendere questo stato visibile agli altri e che tale reazione emotiva possa svanire quanto prima. Questo attiva comportamenti di evitamento dello sguardo altrui o di vera e propria fuga dalla situazione fonte di vergogna.

La funzione dell’accoppiamento nella conservazione della specie

L’accoppiamento garantisce la conservazione della specie. Nell’inconscio collettivo, preparare un bambino al ruolo sessuale che dovrà ricoprire nella società, significa contribuire alla sopravvivenza della specie stessa, mentre l’omosessuale rappresenta una minaccia a tale scopo.

L’omofobia inizia in famiglia

Il programma della paura nasce dalla necessità di essere preparati a difendersi dai pericoli. Esso elicita, a seconda del contesto, tre tipi di istinti: la fuga, l’attacco o l’immobilizzazione.

Nell’omofobia entra in gioco l’attacco.

La prima barriera omofoba che l’omosessuale incontra è la famiglia, che riceve un duro colpo poiché scopre di avere al suo interno, nel suo clan, una persona diversa rispetto alle aspettative sociali, e inconsciamente codifica il significato di tale diversità nel non poter assolvere allo scopo primigenio della specie.

La reazione è di paura e anche di vergogna, perché questo fenomeno potrebbe avere una ricaduta nella rappresentazione sociale di quella famiglia come diversa.

A livello inconscio, nei membri che la costituiscono, si attiva la paura di essere esclusi dalla società, che viene espressa nel rifiuto di accettare questa realtà e la naturalità di tale fenomeno.

L’impatto, dunque, nella famiglia è di solito di natura emotivo-istintuale, a cui può fare seguito un percorso di accettazione, la cui evoluzione dipende da diversi fattori e si differenzia da caso a caso. Si va da situazioni in cui l’omosessualità con il tempo viene pienamente accettata, a situazioni di perenne rifiuto e negazione.

Le barriere omofobe nella società e il funzionamento cerebrale

Le barriere omofobe però non si limitano alla famiglia, ma a cerchi concentrici si possono allargare a tutti i livelli della società, dove entrano in gioco le reazioni emotive sopra descritte, che confluiscono nel pregiudizio e nello stigma.

A livello cerebrale, le emozioni e gli istinti vengono elaborati dal sistema limbico, una costellazione di strutture nervose posizionate al di sotto della corteccia cerebrale.

Quando si attivano queste strutture, il nostro comportamento è equiparabile a quello dei mammiferi, che possiedono un’organizzazione limbica molto simile, quasi sovrapponibile.

Questo vuol dire che, quando noi agiamo in modo istintivo stiamo facendo emergere la parte “animalesca” di cui la natura ci ha dotati.

Neo-corteccia e sistema limbico

Ma ciò che ci rende “esseri umani”, e che ci differenzia dagli animali, è la presenza della neo-corteccia, cioè di tutta quella estesa e complessa area neurologica che sovrasta l’encefalo e che assolve alle “funzioni superiori” come il ragionamento, il linguaggio, l’attenzione, la consapevolezza, la creatività, il monitoraggio e la valutazione del proprio comportamento, l’inibizione o la modulazione delle emozioni in rapporto al contesto.

La aree frontali della corteccia cerebrale esercitano un controllo diretto e ininterrotto sul funzionamento del sistema limbico.

Dagli anni Settanta in poi, nel mondo occidentale si è assistito ad un graduale disvelamento del fenomeno dell’omosessualità. Ma l’omosessualità non è un fenomeno dell’epoca moderna, lo è la sua affermazione. Questa è l’epoca del Gay Pride.

Come contraccolpo, tale orgogliosa affermazione ha portato all’estrinsecazione del fenomeno della omofobia, che funziona secondo i meccanismi messi in atto dal sistema limbico, e quindi dal cervello animale, senza che questi vengano filtrati e mediati dalle funzioni superiori, di cui l’essere umano è dotato.

A mio avviso, non è condannabile il punto di vista di chi non possiede ancora gli strumenti per accettare la naturalità dell’omosessualità, ma lo è quando questo sfocia nella violenza, quando questo diviene un pretesto per dare sfogo agli istinti più bassi.

L’epoca del pensiero e dell’accettazione dell’altro nella sua unicità

Questa è l’epoca del pensiero e dell’utilizzo delle funzioni superiori del cervello, che ci differenziano dagli animali, i quali non possiedono strutture neurologiche adeguate ad attivare comportamenti differenti da quelli meramente istintuali.

Dai tempi della società organizzata in piccole tribù indipendenti, alla società iperuarbanizzata, multietnica e globalizzata del mondo occidentale, dove la diversità non è più un’eccezione, l’umanità ha fatto un salto abissale.

Le regole della convivenza non si fondano più su un’appartenenza finalizzata a procacciarsi il cibo e a difendersi dal nemico, bensì sulla cooperazione, sul rispetto e sull’accettazione dell’altro nella sua totalità, affinchè reciprocamente e pacificamente si possa continuare a contribuire all’evoluzione della specie “umana”.

Questo è il momento di utilizzare le funzioni superiori ai fini di una sana e armoniosa convivenza, dove l’accettazione dell’altro nel suo essere unico e irripetibile rappresenti la norma.

Per essere allineati con l’evoluzione della specie umana è necessario promuovere un cambiamento del pensiero della società intera, che sancisca la legittima naturalità dell’omosessualità, conferendo diritto di cittadinanza alle diverse modalità con cui l’amore può essere vissuto.

Questa è l’epoca in cui la società si deve adoperare per garantire ad ogni individuo il diritto di vivere ed esprimere liberamente il proprio modo di essere e la propria essenza.

Psicologa psicoterapeuta a Bari, dott.ssa Mara Spizzico