Il bambino ha una crescita sana quando vive in un clima relazionale accudente, amorevole, rassicurante e stimolante garantito dalla presenza e dalle cure della madre o di una o più figure adulte in grado di sintonizzarsi con l’ampia gamma dei suoi bisogni e con cui può instaurare un indispensabile legame di attaccamento sicuro. Diversamente, il bambino può sviluppare un trauma precoce.

Mara Spizzico, psicologa psicoterapeuta a Bari
Volto di bambino che esprime un trauma precoce
(Photo-by- Theerl-on-Unsplash)

Il sistema nervoso del bambino piccolo è molto plastico, questo significa che si organizza in base agli stimoli che riceve dall’interscambio emotivo e corporeo con il caregiver.

Il livello di massima neuroplasticità si esprime nell’arco di tempo che va dalla fase fetale della gestazione a i primi due anni di vita.

Tutte le esperienze vissute in questa finestra temporale vengono immagazzinate nella memoria somatica e non come ricordi poiché l’ippocampo, struttura cerebrale deputata al consolidamento del ricordo sottoforma di immagine, non giunge a maturazione prima del secondo anno di vita.

La memoria del periodo gestazionale e dei primi due anni di vita è una memoria somato-sensoriale e viscerale definita “implicita” che non affiora alla coscienza, e questo spiega perché non si possono avere ricordi dell’origine della propria esistenza.

Se in questo periodo dello sviluppo altamente critico il feto prima e il neonato dopo crescono in un campo sano sia da un punto di vista biologico che emotivo-relazionale, lo sviluppo dell’organismo psicofisico sarà possibilmente sano e potrà esprimere il suo massimo potenziale, altrimenti i deficit relazionali lasceranno le loro impronte sotto forma di alterazioni della regolazione del sistema nervoso.

La gravidanza

La gravidanza dovrebbe essere per la madre un’esperienza desiderata, serena e appagante ma può accadere che durante i nove mesi si possano presentare fattori di stress di diversa natura, fonte di malessere sia per la gestante che per il feto.

Se i fattori di stress sono persistenti o la madre è esposta a carenze alimentari o a condizioni di abbandono ed è cronicamente depressa, arrabbiata, ansiosa o assume alcol e sostanze stupefacenti il feto soffre e il suo sviluppo ne è profondamente condizionato.  

Fattori di stress per il feto possono anche essere rappresentati dal rifiuto della madre per la gravidanza e/o quando prende seriamente in considerazione l’idea di abortire o un vero e proprio tentativo di aborto.

In queste condizioni emotive avverse l’utero, anziché essere un ambiente confortevole per l’espansione corporea, diventa un spazio di crescita tossico e minaccioso a cui il feto risponde contraendosi e ritirandosi.

Il trauma della fase prenatale può determinare un’attivazione globale del sistema nervoso ad alta intensità o GHIA (Global High Intensity Activation) che coinvolge anche gli altri sistemi in formazione come la pelle, il tessuto connettivo, il sistema endocrino e il sistema immunitario.

La nascita

Alla nascita il sistema nervoso non è maturo a sufficienza per attivare le funzioni precipue dell’organismo umano e questo spiega perché il neonato non cammina, non parla, non afferra gli oggetti se non per via riflessa.

Con l’incessante interscambio con gli stimoli ambientali si acquisiscono gli schemi motori, posturali e cognitivi che, insieme alla maturazione delle strutture nervose, porteranno gradualmente nell’arco di tre anni a sviluppare le diverse abilità e competenze come camminare, parlare, afferrare gli oggetti con intenzione e manipolarli, pianificare l’azione e così via.

Il trauma precoce della nascita

La nascita per il bambino non è un momento facile perché dall’ambiente uterino caldo, avvolgente e ovattato dove si è sviluppato a partire dall’incontro di due cellule, si ritrova all’improvviso travolto da una spinta fisiologica ad attraversare lo stretto canale del parto per affiorare alla vita.

L’ambiente extrauterino è costituito da una miriade di stimolazioni visive, uditive, tattili, olfattive sconosciute al bambino fino al momento della nascita e da cui si sente improvvisamente assalito.

Il parto naturale è dunque di per sé un’esperienza traumatica per ogni nascituro, ma lo diventa ancora di più se il parto si presenta lungo e doloroso o se il cordone ombelicale si avvolge intorno al collo procurandogli ipossia, se il bambino si pone in posizione podalica o se la sua fuoriuscita viene forzata dall’ausilio della ventosa.

Tutte queste condizioni determinano sofferenza perinatale e neonatale e rappresentano per il nascituro minacce alla sua sopravvivenza, a cui inevitabilmente risponde con paura, alti livelli di attivazione ed elevata contrazione motoria.

Trauma da nascita prematura

Causa di trauma profondo è anche la nascita prematura, dove il bambino sin dalle prime ore viene separato dalla madre per essere curato in incubatrice.

Il contatto fisico amorevole con il corpo della madre svolge sin da subito una vitale e indispensabile funzione organizzatrice del sistema nervoso nascente ed è garanzia di accoglienza, sicurezza e protezione, pertanto il bambino può percepire questo distacco prematuro come pericolo di morte.

Questo pericolo può essere percepito in modo ancora più intenso in caso di morte della madre durante o per il parto.

Il trauma da shock

Le primissime fasi dello sviluppo possono venire profondamente compromesse da esperienze traumatiche come interventi chirurgici precoci, una malattia del bambino o della madre, un decesso in famiglia o l’essere nati in tempo di guerra o durante un disastro naturale o in condizioni di grave povertà o in un clima emotivo famigliare di depressione.

Tutti questi vissuti possono incidere negativamente sul processo di attaccamento tra madre e bambino.

La trascuratezza

Il cervello è programmato per essere accolto e protetto alla nascita dalla presenza di un adulto accudente ma può accadere che il genitore non sia sufficientemente maturo per accogliere il figlio e potersi dedicare a lui con un pieno contatto sia corporeo che emotivo.

In tal modo diviene trascurante ed emotivamente inaccessibile, arrecando al bambino molta sofferenza.

Gli unici comportamenti che il neonato può mettere in atto per esprimere e segnalare lo stato di malessere sono il pianto e le urla, se a questi il cargiver non risponde con una solerte ed efficace risposta calmante, fatta di presenza rassicurante e contatto fisico, il processo di attaccamento viene seriamente compromesso e il cervello ne risente in modo severo.

Il bambino vive questo come un pericolo per la sua sopravvivenza, a cui il suo sistema nervoso risponde con un elevato livello di attivazione e di disregolazione, che ne ostacola lo sviluppo armonioso.

Gli effetti del trauma relazionale precoce privano il bambino di risorse necessarie all’autoregolazione, lasciandolo in una perenne condizione di stress.

Il bambino vittima di abuso

Ci sono genitori che non sono solo incapaci di una presenza sufficientemente accudente ma possono anche essere violenti e abusanti.

Il bambino che cresce in un clima famigliare caratterizzato da odio, rifiuto e da una continua minaccia di abuso fisico e/o emotivo rappresentata proprio da coloro che dovrebbero offrirgli amore, cura e protezione vive una profonda sofferenza e un’intensa rabbia che scaturiscono dalla ferita dell’attaccamento.

Il suo dolore non viene ascoltato e accolto e non può esprimere la rabbia perché farlo rappresenterebbe un’ulteriore fonte di pericolo sia per se stesso che per il labile legame di attaccamento che invece, ai fini della sua sopravvivenza, il bambino cerca in qualche modo di preservare.

Le uniche possibilità di difesa che riesce ad attivare per sopravvivere a tanto disamore sono reprimere la rabbia e congelare e dissociare il dolore.

L’insufficienza di contatto fisico, di ascolto, di empatia, di contenimento e sintonizzazione emotiva viene sperimentata dal bambino come una minaccia profonda che non riesce a definire, ma verso cui prova solo un profondo senso di rassegnazione e di annichilimento.

La repressione e la dissociazione della rabbia e del dolore implicano un grande dispendio energetico e un affievolirsi, durante la crescita, della forza vitale, dell’assertività e dell’espressione delle capacità di autoaffermazione.

Le basi emotive del legame di attaccamento

La sintonizzazione emotiva del genitore, intesa come capacità di riconoscere le diverse manifestazioni corporee ed espressive del figlio e di sapervi rispondere in modo efficace soddisfa il bisogno fisiologico del bambino di attaccamento sicuro.

Quando il bambino riceve tale accoglienza si sente riconosciuto, compreso e accettato, quindi amato.

Nei primi anni di vita manca la capacità di regolare le diverse manifestazioni fisiche provocate dagli stati emotivi come variazioni del ritmo cardiaco, del ritmo respiratorio, del tono muscolare e dell’attività del sistema nervoso, inoltre il bambino non riesce a dare un significato a quanto gli accade.

Ha bisogno che il caregiver, sintonizzandolo emotivamente, lo aiuti a decodificare quello che vive affinchè non ne sia sopraffatto.

Quando il bambino e il genitore sono sincronizzati a livello emotivo lo sono anche a livello fisico.

I genitori sani e maturi per questo ruolo iniziano presto e spontaneamente a insegnare al figlio a tollerare alti livelli di attivazione.

Saper gestire l’attivazione è un’abilità fondamentale della vita poiché accostare sensazioni intense alla sicurezza, al conforto e alla padronanza rappresenta la base dell’autoregolazione e dell’auto-nutrimento.

John Bowlby, psicanalista britannico autore di una ricerca sui processi dell’attaccamento affettivo, individuò 4 stili di attaccamento.

I bambini con un attaccamento sicuro imparano cosa fa bene e male a se stessi e agli altri, che le loro azioni possono modificare il proprio sentire e provocare risposte negli altri, imparano a differenziare le situazioni che sono in grado di gestire da quelle per cui è necessario chiedere aiuto, a giocare un ruolo attivo nella risoluzione di situazioni difficili e diventano piacevoli compagni di gioco, arricchendosi di tante esperienze auto-convalidanti condivise con i pari.

I danni delle ferite dell’attaccamento

L’attaccamento sicuro conferisce un senso di potere personale che favorirà l’autoaffermazione e l’autorealizzazione, di contro, bambini con una storia di abuso e grave trascuratezza imparano che il loro terrore, le loro implorazioni e il loro pianto non hanno alcun effetto sul caregiver.

Quando ricevono così tanto disamore diventano ipersensibili, incapaci di modulare le proprie risposte all’aggressività altrui, hanno difficoltà a riconoscere e a rispondere ai bisogni degli altri, a socializzare e a integrarsi nel gruppo dei pari, sono sovente vittime di esclusione dai giochi ed emarginazione per cui tendono all’isolamento, che ostacola ulteriormente l’acquisizione delle abilità relazionali e di autoregolazione emotiva.

Inoltre sviluppano un atteggiamento rinunciatario di fronte alle sfide e agli ostacoli della vita.

Già nella scuola d’infanzia possono mostrare comportamenti aggressivi, oppositivi e iperattività, con un’importante ricaduta sulla tolleranza alla frustrazione, sui processi attentivi, sull’apprendimento e possono anche manifestare prodromi di disturbi di natura psichiatrica.

I bambini abusati crescono credendo di essere sostanzialmente non amabili quindi con una bassa autostima e con difficoltà se non impossibilità a riconoscere il proprio valore, e questo è l’unica ragione che le loro giovani menti riescono a trovare per spiegare il maltrattamento subito.

Conclusioni

Con la crescita il vissuto di accudimento affidabile e responsivo diviene la base psicofisica di un fondamentale stato di sicurezza emotiva, indispensabile per la tolleranza e la gestire delle emozioni e dell’ansia, che si manterrà per tutto il corso della vita.

La sofferenza persistente, a partire da fasi precoci dello sviluppo fetale, si registra nella memoria implicita e diviene un fattore di base per l’ansia libera e per stati depressivi che si manifestano in età giovanile e adulta.

Questo potrebbe spiegare manifestazioni patologiche di cui non si rintraccia un’eziologia evidente e riscontabile nel vissuto della persona, quindi anche quando quel adulto non ha un vissuto di maltrattamenti e trascuratezza.

La sofferenza fisiologica cronica precoce è causa di sofferenza psicologica e mina il sano sviluppo psichicofisico, provocando l’insorgenza di disturbi che possono manifestarsi in fasi più tardive dello sviluppo.

Fonti

Laurence Heller, Aline LaPierre  “Guarire i traumi dell’età evolutiva”, ed. Astrolabio – Ubaldini, 2018

Bessel Van der Kolk “Il corpo accusa il colpo”,  Raffaello Cortina Editore, 2017