La nascita di un figlio disabile è per i genitori un evento che si presenta come un fulmine a ciel sereno: nessun genitore lo sceglierebbe e nessuno è preparato ad assumersi una responsabilità così dolorosa e faticosa.
La preparazione della nascita
La gravidanza rappresenta un momento unico e irripetibile nel ciclo vitale di una famiglia, che si lascia da questa travolgere e trasformare.
La nascita del bambino viene preparata lungo tutto l’arco del periodo gestazionale, attraverso la riorganizzazione degli spazi domestici, l’acquisto del corredino e dell’arredo necessario alle esigenze del neonato.
Allo stesso tempo, essa viene anticipata da fantasie nutrite di aspettative positive, bisogni, desideri e preoccupazioni.
Il bambino nasce, quindi, già nell’immaginario dei genitori e indossa un ideale di bambino “sano, forte e bello”, guarnito delle caratteristiche fisiche e caratteriali di entrambi i genitori.
Queste fantasie sono accompagnate da emozioni intense, intrise di desideri, curiosità e aspettative.
Tutta la famiglia allargata, nonni, zii, cugini, partecipa, preparandosi all’idea dell’arrivo di un nuovo membro, di una nuova vita.
L’idea, che il nascituro possa presentare dei problemi di salute, è un pensiero talmente doloroso e insopportabile da essere automaticamente rimosso, e nessuno si prepara a tale evenienza.
La nascita di un figlio con disabilità
Quando sopraggiunge la nascita di un bambino con gravi patologie, che possono essere di natura sensoriale e/o motorie e/o metaboliche, la famiglia intera è attraversata da un vero e proprio tzunami.
Poiché non deve solo affrontare gli inevitabili sconvolgimenti che ogni nascita reca con sè, ma si ritrova a gestire lo shock della malattia inaspettata, con l’evenienza che sia a repentaglio la sopravvivenza del neonato.
Il dolore è incontenibile, misto a sentimenti di impotenza e di insicurezza, e lo stress raggiunge livelli elevatissimi.
La ricaduta sull’autostima del genitore
Se la nascita di un figlio sano viene inconsciamente elaborata come una conferma positiva delle proprie capacità, e rappresenta una buona iniezione di autostima per i genitori.
La nascita di un figlio disabile invece viene vissuta, in particolare dalla madre, come l’espressione della propria inadeguatezza e come un vero e proprio fallimento. L’autocolpevolizzazione è una delle prime e inevitabili risposte emotive.
Durante la mia esperienza clinica nell’arco di quasi un decennio presso il centro di riabilitazione Messeni-Localzo di Rutigliano in provincia di Bari, ho riscontrato che nel subconscio della maggior parte delle madri, rimane soggiacente un’immagine di sé come inadeguata e colpevole.
Questo vissuto inevitabilmente inficia l’autostima, la percezione della propria efficienza genitoriale e il riconoscimento del proprio valore come essere umano che ha diritto di prendersi cura di sé e di godere dell’esistenza.
La difficoltà di adattamento del genitore
Tali reazioni emotive interferiscono con il processo di adattamento dei genitori alle nuove condizioni, che la nascita del bambino richiede, e possono ostacolare l’attivazione delle risorse interne necessarie a tutti i livelli di cura, di cui il neonato necessita.
I genitori non possono affidarsi a prassi già collaudate nelle più tradizionali conoscenze trasmesse di madre in figlia, in quanto la patologia presenta delle condizioni inedite e inattese.
Di conseguenza ciò crea un divario incolmabile tra le aspettative maturate durante la gravidanza e la realtà, verso cui i genitori si sento del tutto impreparati.
Soprattutto nelle coppie giovani alla prima esperienza genitoriale, questo si rivela shockante e sconvolgente.
Le conseguenze emotive della nascita di un figlio disabile
Allo shock iniziale seguono nel tempo fasi di negazione e rifiuto di riconoscere l’evidenza. Per esempio sperando in un errore di diagnosi, alternando fasi depressive e di isolamento e a reazioni di autocolpevolizzazione.
Non riuscendo a trovare una causa sufficiente a giustificare questo dramma, il genitore la cerca in se stesso e si fa bersaglio di un’autocritica spietata e di profondi e infondati sensi di colpa, a cui reagisce attivando nei confronti del bambino un atteggiamento iperprotettivo e una totale dedizione.
Uno stato di tristezza persistente si attiva dal momento in cui il genitore prende atto della discrepanza tra il figlio perfetto immaginato e il figlio reale difficile da accettare e da amare.
Il ciclo di vita sconvolto
Il primo dentino, la prima parola, i primi passi, il primo giorno di scuola, sono momenti dello sviluppo che non solo procurano piacere e gioia ai genitori, ma danno anche un ordine e un senso al ciclo di vita della famiglia.
Un figlio malato propone percorsi «diversi» dell’esistenza e dell’esperienza individuale di entrambi i genitori, che a volte, a seconda della gravità delle condizioni psicomotorie del bambino, stentano anche a sentirsi tali.
Un giorno, il padre di un bambino di quattro anni con gravi minorazioni sensoriali, motorie e cognitive, che gli hanno provocato gravi deficit della locomozione e del linguaggio, mi disse: “il mio più grande desiderio è, anche solo per una volta, sentirmi chiamare papà”.
Il bambino man mano che cresce si caratterizza sempre di più per la sua diversità e diventa sempre più difficoltoso utilizzare con lui le normali pratiche di cura per bambini normodotati e questo è fonte di frustrazione e di stress continuo.
L’iperprotezione
L’iperprotezione diviene un grosso ostacolo al riconoscimento del potenziale del bambino, cioè delle capacità che si celano dietro alle sue disabilità.
Perché comporta l’anticipazione dei suoi bisogni, senza che il bambino abbia il tempo di esprimerli, il sostituirsi a lui, anche dove potrebbe fare da solo o impedirgli di fare alcune cose percepite come rischiose per la sua incolumità.
Questo limita le proposte educative e l’accesso del bambino alla sperimentazione delle sue possibilità potenziali, che è ciò in cui si muove la riabilitazione.
Man mano che il bambino cresce, diviene sempre più evidente la discrepanza tra le sue prestazioni e quelle dei suoi coetanei.
Rinunciare agli eccessi di protezione è emotivamente faticoso poiché riattiva i sensi di colpa.
I sensi di colpa si amplificano quando si profila la possibilità di ritrovare uno spazio per recuperare la propria individualità o la dimensione di coppia.
Alla fine rimane sempre uno spazio autonegato, poichè considerato egoista.
L’accettazione
Il rifiuto della realtà, sperando che le cose in fondo non stiano come sembrano o cercando ossessivamente il “motivo” per cui questo è accaduto, diviene un fardello gravoso.
A ciò si aggiunge l’insieme di difficoltà che si presentano quotidianamente e impedisce spazi di respiro, di cui il genitore avrebbe diritto e necessità.
“Accettare” la realtà per quella che è può sembrare una sfida quasi impossibile. In verità è una vera e propria via di liberazione da questo fardello in eccesso.
Percorso terapeutico
L’accettazione non è mai un percorso lineare con un inizio e una fine.
Piuttosto a me piace definirlo un “percorso a zig-zag”: l’acquisizione di consapevolezza della malattia del proprio figlio non è sempre definitiva.
Perché le difese e gli adattamenti oscillano a seconda dei progressi o dei regressi del bambino, momenti di sollievo si alternano a momenti di sconforto, che rispetto ai primi sono più frequenti.
Accettazione e consapevolezza possono essere raggiunti attraverso la psicoterapia. Un esempio di percorso che si rivela efficace è la terapia in acqua per genitori e figli disabili in Francia, presso il centro acquatico F.A.E.E.L.(Fédération des Activités Aquatiques d’Eveil et Loisir).
Conclusioni
Pur non cambiando nulla alla realtà stessa, l’accettazione può aiutare ad affrontare nel modo più sano ed efficace le diverse problematiche relative alla condizione patologica.
Perché propone al genitore di tornare a vivere la propria vita a prescindere da quanto essa sia stata modificata e sconvolta.
L’accettazione della nascita di un figlio disabile dunque non è mai un percorso facile né una meta che si raggiunge una volta e per sempre, ma una sfida possibile.